23 aprile 2020 - 14:46

Le tre crepe dell’assistenza (non solo
sanitaria) e la tenuta dove c’è una rete

La pandemia mette in luce debolezze del Servizio sanitario che era stato pensato nel 1978 su una dimensione «locale». Reggono i luoghi dove è forte la coesione sociale

di Angelo Moretti*

Le tre crepe dell'assistenza (non solo  sanitaria) e la tenuta dove c'è una rete
shadow

C’era una vecchia tecnica usata in edilizia che torna utile oggi per comprendere i danni del Covid-19: una volta terminato il tetto di una casa, il tetto veniva allagato e grazie all’allagamento gli operai seguendo l’acqua che entrava in casa potevano capire dove c’erano delle crepe invisibili agli occhi e correre ai ripari. Il Covid-19 è stata per certi versi una prova di allagamento del welfare italiano e le crepe sono venute tutte fuori. La prima e più importante è stata certamente la mancanza di una strategia di salute territoriale. Nonostante l’Italia si fosse dotata dal 1978 di un Servizio Sanitario Pubblico basato sulla dimensione «locale» di prevenzione e cura delle malattie, di fronte a questa emergenza sanitaria abbiamo scoperto che tutto quell’impianto favoloso era totalmente saltato, i medici di medicina generale che presidiano i territori non sono stati proprio considerati nella fase primordiale dell’emergenza, per chi usa le metafore di guerra: non sono state considerate nemmeno una prima linea del fronte, semplicemente sembravano fuori dal Welfare e dentro un apparato burocratico a parte. Addirittura hanno dovuto organizzarsi da soli per reperire dispositivi protettivi per proteggere se stessi e poter ricevere i pazienti.

La seconda crepa è stata l’assenza di un vero impianto italiano di assistenza domiciliare sanitaria e socio-sanitaria: dalla legge 833 ad oggi sarebbe dovuta divenire un’eccellenza nostrana, 42 anni non sono pochi. Di fronte al Covid-19 è stata invece una pratica che ha funzionato molto a macchia di leopardo. L’Italia ha risposto alla crisi principalmente con il paradigma organizzativo degli Ospedali, come se il ‘78 non ci fosse mai stato. E gli ospedali, come abbiamo capito con il senno di poi ma forse era anche prevedibile, mentre erano parte della soluzione diventavano gran parte del problema.

Un’altra crepa vistosa è stato il welfare delle strutture accreditate per anziani e disabili, dove la sconnessione tra salute territoriale e Residenze Sanitarie Assistite ha fatto di quelle microcomunità degli hub perfetti per il virus. Che cosa ha retto meglio? Hanno retto le aree interne dove la coesione sociale ed il welfare preesistevano alla crisi e dove l’innovazione sociale necessaria aveva prodotto negli anni metodologie nuove di connessione tra salute e territorio, per ovviare alla mancanza o distanza di servizi ospedalieri e di servizi in genere. Hanno retto quelle comunità che in questi anni avevano creato alleanze vere ed efficienti tra amministrazioni comunali, medici di medicina generale, Terzo settore. In queste realtà come in quelle dell’area interna del Basso Sangro-Trigno l’assistenza domiciliare è partita subito ed era organizzata. Alla pandemia non doveva arrivare una «risposta pandemica» costituita solo dall’ospedale , ma più risposte diffuse (assistenze domiciliari semi-intensive o intensive, assistenze riabilitative, assistenze per la prevenzione del contagio nei comuni) capaci di “contagiare” le alleanze territoriali in un rapporto 1 a 3 come la velocità del virus di espandersi tra le persone. Ricordiamocelo per la prossima volta, sperando che non accada ma sapendo che è assai probabile. *Piccoli Comuni del Welcome

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT